Tema sulle morti del lavoro

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Visceral
view post Posted on 11/3/2010, 18:30




Tema sulle morti del lavoro



Il drammatico e clamoroso caso degli operai arsi nel rogo dello stabilimento torinese della Thyssen Krupp del 6 dicembre scorso ha richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica su un fenomeno tutt'altro che nuovo, ma spesso ignorato dai grandi mezzi di comunicazione: le morti sul lavoro.

Quasi ogni anno più di mille persone perdono la vita durante lo svolgimento dell'attività lavorativa. Senza contare coloro che rimangono invalidi più o meno gravemente a seguito di infortuni sul lavoro. Nel 2006 le morti accertate, imputabili al lavoro, sono state 1280, nel 2007 circa 1000. Le cose, tuttavia, non andavano meglio nei decenni scorsi. Per esempio, i dati INAIL riferiti al 1989 documentano 3542 morti in Italia dovuti a infortuni occorsi durante l'espletamento dell'attività lavorativa.

Il lavoro, su cui si fonda lo Stato italiano secondo la Costituzione repubblicana, anziché fattore di benessere, di sviluppo e di autorealizzazione, può rivelarsi dunque causa di sofferenze indicibili per i lavoratori e le loro famiglie.

Spesso, infatti, al danno succede la beffa. Le imprese sfuggono alle loro responsabilità, cercando di camuffare la realtà dei fatti e il risarcimento dei danni risulta nella maggioranza dei casi incerto, ritardato e insufficiente.

Il fenomeno delle morti sul lavoro risulta essere così inquietante da turbare la nostra coscienza di cittadini. Rappresenta la spia drammaticamente accesa di un malessere diffuso dell'intera società, un'ingiustizia che pochi di noi sono disposti a tollerare.

Ci mostra come dietro il trionfo mondiale del capitalismo, col suo ostentato sfoggio di merci e di sofisticate tecnologie, si celino contraddizioni insostenibili, cui si deve porre rimedio. La globalizzazione dei mercati, che sembrava poter garantire una ricchezza diffusa, ha prodotto invece impietose disparità e si macchia ogni giorno del sangue degli ultimi, di coloro che stanno alla base del processo sociale e produttivo. Oggi, dopo che la cronaca è tornata a puntare i propri riflettori sugli incidenti nei cantieri e nelle fabbriche, abbiamo acquisito coscienza che non soltanto i lavoratori possono essere estromessi con facilità dalle aziende, in seguito alle ristrutturazioni, ma possono essere letteralmente immolati sull'altare della produzione e dei costi da ottimizzare e contenere.

Forse viviamo davvero nell'epoca dell'"impresa irresponsabile", per citare l'appropriata espressione di un sociologo, Luciano Gallino, che da anni studia l'evoluzione del lavoro con particolare riferimento alla realtà italiana. Un modello di impresa totalmente concentrata sulla massimizzazione del profitto a breve termine e sul suo valore di mercato in borsa mentre, nello stesso tempo, è completamente indifferente alle ripercussioni sociali prodotte dalle proprie decisioni e alla qualità della vita dei cittadini.
Se l'analisi del professor Gallino è corretta ed è questo lo scenario economico, è allora comprensibile come la sicurezza nei luoghi di lavoro non venga percepita dai vertici aziendali come un dovere, ma come una voce negativa sul bilancio.

Qualche anno fa uno slogan fortunato reclamava "meno stato, più mercato". Oggi sono in molti a dubitare della verità di questa asserzione. A mio avviso è arrivato il momento che lo stato assuma nell'economia il ruolo legittimo di arbitro, si assuma cioè la responsabilità di fissare le regole e di farle rispettare. E bene ha fatto il ministro Damiano ad aumentare il numero di ispettori deputati a svolgere nelle aziende i necessari controlli cui, in caso di inadempienze, devono seguire le necessarie sanzioni.

Far rispettare le regole, in ogni ambito della vita economica, contribuirà, a mio avviso, a cambiare il clima morale della nostra società. Urge riportare al centro il valore della dignità umana. Come ha fatto notare monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, il luogo di lavoro deve tornare a "essere luogo di vita e di crescita" e non "una fabbrica di morte, di vedove e di orfani". L'uomo deve ristabilire il proprio primato sull'economia.
 
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