Canto III del Purgatorio

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Visceral
view post Posted on 10/3/2010, 20:23




Canto III del Purgatorio



Dante si addossa a Virgilio, nell'accingersi all'ascesa alla montagna del Purgatorio.
Virgilio è ancora turbato per il rimprovero di Catone ("O dignitosa coscienza e netta,/ come t'è picciol fallo amaro morso").
Dante, colpito dalla luce del sole, vede una sola ombra, quella del suo corpo, e teme di essere stato abbandonato dalla sua guida.
Virgilio gli spiega come egli, al pari delle altre anime, sia diafano, privo di consistenza. Spiega inoltre, incidentalmente, al suo interlocutore quanto la conoscenza assoluta delle cose sia inaccessibile agli uomini. I filosofi e i teologi possono soltanto approssimarsi ad essa, ma soltanto Dio conosce la causa prima di tutte le cose. Virgilio stesso appare turbato dalla consapevolezza dei limiti intrinseci alla ragione umana.

I due pellegrini sono intanto giunti in prossimità del monte, le cui rocce appaiono loro più ripide e impervie di quelle della costa ligure. Una schiera di anime titubanti muove lentamente verso i due poeti. Virgilio chiede alle ombre quale sia la via per salire. Le anime si avvicinano, ma vedendo la consistenza corporea e viva di Dante, indietreggiano timorose. Virgilio le rassicura.

Uno degli spiriti chiede allora a Dante se lo abbia mai visto sulla terra. Dante non lo riconosce, ma di lui afferma:
"biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso".

Si tratta di Manfredi, nato dalla relazione adulterina tra l'imperatore Federico II e una donna dell'aristocrazia siciliana, Bianca Lana.
Manfredi visse un'esistenza travagliata, all'insegna della conquista del potere, della violenza e della lussuria. Egli stesso confida a Dante: "Orribil furon li peccati miei". Subito però aggiunge:
"ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei".

Infatti, colpito a morte in battaglia, Manfredi, agonizzante, chiede perdono a Dio per i peccati commessi. Sepolto con onore a Benevento, i suoi resti mortali vengono trafugati per ordine del papa Clemente, con la complicità del vescovo di Cosenza, e gettati sulla riva destra del fiume Liri, esposti alla pioggia e al vento.

La figura di Manfredi domina dunque questo terzo canto del Purgatorio. Peccatore, il sovrano può ora aspirare alla salvezza, in virtù del perdono chiesto a Dio in punto di morte.
Come in vita fu violento e prepotente, ora egli è umile, affabile, sereno, distaccato dagli affanni terrestri. L'unico tramite con la vita terrena è l'affetto paterno che egli nutre per la figlia Costanza, della quale fa percepire una certa nostalgia. Egli è fiero che la figlia abbia dato alla luce due imperatori, Iacopo d'Aragona e Federico di Sicilia, e si raccomanda a Dante di portarle sue notizie e di intercedere presso di lei, affinché preghi per la sua salvezza.
 
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